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Heilongjiang: sette anni bui di reclusione

31 Ott. 2015

(Minghui.org) Nel pomeriggio dell'8 maggio 2002, di fronte ad una cabina telefonica pubblica, dal lato opposto del più grande centro commerciale della città, sulla strada più trafficata di Mudanjiang, un uomo robusto di mezza età mi ha afferrato da dietro. È così che ho cominciato i miei 2.556 giorni di prigione. Sette anni di reclusione.

A rapirmi è stato un poliziotto del dipartimento di polizia di Yangming. Mi ha arrestato con l’accusa di essere un praticante del Falun Gong, per questo motivo sono stato detenuto per sei mesi e poi condannato a sette anni di carcere.

Nella prigione sono stato sottoposto ad esami per la salute e al prelievo del sangue per tre volte. I praticanti del Falun Gong vengono trattati più duramente degli altri detenuti, peggio dei criminali incalliti. I praticanti non sono autorizzati ad avere visite familiari, ad acquistare necessità, o a parlare tra di loro. Solo i praticanti del Falun Gong sono sottoposti ad esami del sangue nella prigione. È stato difficile per me riuscire a calmare la mente dopo aver appreso del prelievo di organi da parte del governo sui praticanti ancora in vita.

Fustigazione alla stazione di polizia

Al dipartimento di polizia di Yangming ho chiesto il motivo del perché ero stato portato lì. Cinque ufficiali hanno cominciato a picchiarmi prima ancora che avessi finito di parlare, poi mi hanno confiscato 1.500 yuan, insieme al mio cellulare.

Dopo cena mi hanno legato ad una sedia ed interrogato, ma non ho risposto a nessuna delle loro domande. Sono stato picchiato; mi hanno tolto le scarpe e hanno frustato le mie dita dei piedi con un filo elettrico. Ho percepito la fustigazione come se un animale mi stesse mordendo. Ho cercato di non muovere i piedi in modo di non pensare al dolore e gridare; poi mi hanno frustato anche le zone genitali.

Ho iniziato uno sciopero della fame per protestare. Gli ufficiali hanno aperto una finestra, (la notte in questa città è fredda, si trova nel nordest della Cina) ed mi hanno versato dell'acqua gelida sopra la testa. I miei vestiti erano bagnati e un vento gelato entrava dentro la stanza, facendomi tremare.

Sono stato picchiato sulla testa e il pestaggio si è fermato solo dopo che ho iniziato ad avere le convulsioni.

Picchiato al centro di detenzione

La notte del 10 maggio sono stato portato al centro di detenzione n°2 di Mudanjiang.

Le guardie mi hanno portato all'ufficio in servizio la mattina dopo, dove mi hanno chiesto di fermare lo sciopero della fame. Ho rifiutato, così sono stato picchiato e alimentato con la forza.

Il capo del centro di detenzione ha portato allora manette e catene. Le mie mani sono state ammanettate dietro la schiena ed i miei piedi incatenati. Manette e catene sono state legate insieme, costringendomi a distendere le braccia e le gambe dietro la schiena alla massima estensione. Sono stato obbligato a rimare inginocchiato per tutto il tempo. Non sono stato liberato neanche quando ho avuto bisogno di usare il bagno; così, ad un detenuto gli è stato ordinato di portarmi un contenitore per l'urina. In seguito ho iniziato ad avere di nuovo le convulsioni a mezzogiorno e di conseguenza sono stato rilasciato. Non sono poi stato in grado di muovermi per un lungo periodo di tempo.

Illustrazione della tortura: le manette e le catene sono collegate nella parte posteriore - entrambe le mani sono ammanettate dietro la schiena ed i piedi incatenati. La vittima deve inginocchiarsi, manette e catene sono collegate con un filo tirato in maniera stretta.

Il giorno dopo un'altra guardia mi ha chiesto di mangiare, ma ho rifiutato, così mi ha colpito le natiche con un tubo di plastica. Non sono stato in grado di sedermi per un molto tempo.

Il centro di detenzione fornisce solo due pasti al giorno, che sono sempre del pane di mais e della zuppa (principalmente acqua salata con alcune foglie verdi). Una volta ho trovato una mosca nel pane.

Siamo stati anche costretti a confezionare delle bacchette che venivano poi esportate in Giappone.

Ingiusta sentenza

Una volta un funzionario di alto rango è venuto al centro di detenzione. Le guardie hanno detto che era il capo dell'Ufficio 610 (*) della provincia di Heilongjiang. Sono stato portato in una stanza per incontrarlo, ma mi sono rifiutato di rinunciare al mio credo, come mi ha ordinato con tanta insistenza. Ciò l'ha fatto arrabbiare, gridandomi che mi avrebbe punito severamente.

Il 29 ottobre 2002 la Corte di Mudanjiang ha avviato il mio processo, senza informare la mia famiglia. "Voi ragazzi (praticanti del Falun Gong) dovrete scontare dure condanne!", ha detto un impiegato nel corso dell'udienza.

Il giudice mi ha condannato a sette anni di carcere. In seguito ho fatto appello, ma la Corte Intermedia di Mudanjiang ha confermato la condanna.

Lavori forzati nel carcere

Il 6 dicembre del 2002 sono stato messo nella prigione di Mudanjiang, dove ho trascorso sei anni e mezzo.

Sono stato costretto a fare ogni sorta di duro lavoro manuale. Ho preparato e portato pacchetti in tipografia, estratto fili metallici dai rifiuti, tessuto cuscini per i sedili delle auto e cucito palloni da calcio. Nel luglio 2005 una volta sono caduto dal letto superiore a castello e mi sono ferito il piede destro, a causa della stanchezza.

Resistere ai maltrattamenti

La mia protesta per la persecuzione all'inizio del 2006 è continuata per quasi tre anni e mezzo. Ho rifiutato di indossare l'uniforme carceraria, di rispondere all'appello o di eseguire lavori forzati.

Il direttore della mia divisione una volta mi ha chiamato nel suo ufficio. Non mi sono inginocchiato, anche se le regole della prigione prevedono che i detenuti si inginocchino alla presenza delle autorità o guardie carcerarie. Il direttore ha ordinato alle guardie di costringermi verso il basso. Mi sono poi seduto sul pavimento. Lui mi ha preso a calci ancora e ancora ed ha ordinato ad una guardia di andare a prendere un bastone elettrico. Per qualche ragione la guardia è tornata senza bastone elettrico e mi è stato permesso di andare via all'ora di pranzo.

Il giorno dopo, l'istruttore politico è venuto da me e mi ha minacciato di mettermi in isolamento, ordinando che il mio cappotto invernale venisse bruciato. In seguito ho iniziato uno sciopero della fame. Le guardie si sono arrese alla mia protesta e un detenuto mi ha detto che avrei potuto fare gli esercizi di notte. Ho ricominciato a mangiare.

Nel novembre 2006 sono stato trasferito nel distretto n°13. Il capo della terza squadriglia mi ha ordinato di fare del lavoro manuale, ma ho rifiutato. Voleva mettermi in una cella d'isolamento, ma lungo la strada è stato chiamato e se ne andato via, lasciandomi così in una normale cella di prigione.

Ho continuato a rifiutare di rispondere all'appello o di eseguire i lavori forzati. Le guardie non mi hanno dato fastidio.

Nel febbraio 2007 sono stato trasferito nel distretto n°8. Le guardie mi hanno richiesto di fare di nuovo del lavoro manuale, ma io ho rifiutato nuovamente e loro hanno smesso di dirmelo ancora.

Nel maggio 2007 sono stato trasferito al distretto n°7. Qui le guardie hanno minacciato di mettermi in isolamento, ma anche questa volta non ho ceduto alle richieste e non è successo niente.

La famiglia soffre

Mentre sono stato imprigionato, sia mio padre che mio suocero sono morti per le pressione subita e per la preoccupazione.

Non sono riuscito ad aiutare mia figlia. Lei, oltre ad aver affrontato le molestie della polizia, che ha saccheggiato la nostra casa e ha tenuto sotto controllo il suo telefono, ha anche subito delle discriminazioni a scuola. Dall’essere una ragazza sicura è diventata cauta e talvolta paranoica. Non è riuscita più a pagare i suoi studi a causa del blocco del mio reddito. È stata in grado di continuare la sua istruzione solo con l’aiuto dei parenti.

Sono stato infine rilasciato il 9 maggio 2009.

(*)GLOSSARIO

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