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Shandong: La prigione femminile della provincia offre riduzioni di pena a chi tortura le praticanti del Falun Gong

21 Dic. 2017 |   Di una praticante del Falun Gong nella provincia dello Shandong, Cina

(Minghui.org) Da quando nel 1999 il regime comunista in Cina ha iniziato la persecuzione del Falun Gong, migliaia di praticanti sono stati arrestati, imprigionati, inviati ai campi di lavoro forzato o torturati a morte. Molte delle loro case sono state saccheggiate e le loro famiglie andate a pezzi. Altri invece sono scomparsi e si sospetta siano stati uccisi per i loro organi.

Mentre ero rinchiusa nella prigione femminile della provincia dello Shandong sono stata testimone di come tutto il personale della struttura, dagli addetti all'amministrazione fino alle guardie, abbiano usato tutti i mezzi possibili, compresa la tortura fisica e la coercizione, per trasformare le praticanti, affinché rinunciassero alla loro fede. Inoltre, promettevano il rilascio anticipato alle detenute che le torturavano.

Detenute ed ex praticanti disposte a partecipare alla tortura

Alcune prigioniere obbedivano agli ordini delle guardie perché controllavano il loro destino e la loro vita.

L'undicesimo reparto nella prigione femminile della provincia dello Shandong è utilizzato esclusivamente per la reclusione delle praticanti. In quella sezione il gruppo dirigente incaricava prigioniere ed ex praticanti che erano state trasformate, di torturare le altre.

Una delle guardie ha affermato che avrebbero costretto le praticanti, incluse quelle che erano già state trasformate, a scrivere delle dichiarazioni di rinuncia alla loro fede e che quelle che rifiutavano sarebbero state rinchiuse in isolamento.

Li Ying, una ex funzionaria della contea, è stata condannata a quattordici anni di carcere per corruzione e per avere una riduzione della pena ha collaborato con le guardie. Quando una giovane praticante ha rifiutato di scrivere le dichiarazioni, è stata rinchiusa in una piccola cella d’isolamento dove due grosse prigioniere, tra cui una che doveva scontare diciannove anni, le hanno storto le braccia. Anche una spacciatrice che era stata condannata a una dozzina di anni non ha esitato a partecipare alle torture.

Quelle che usavano i metodi peggiori erano le ex praticanti. Alcune di loro sono addirittura salite sul palco per diffamare pubblicamente il Falun Gong e il suo fondatore, mentre altre sono diventate delle istruttrici su come fare il lavaggio del cervello ed eseguire torture.

Metodi di tortura

Per costringere le praticanti a rinunciare al Falun Gong e scrivere le dichiarazioni, le guardie conficcavano nelle loro dita la punta delle penne a sfera. Altre invece venivano costrette a stare in piedi per lunghi periodi, accusando di conseguenza il rigonfiamento delle caviglie. I metodi includevano anche la tortura psicologica e la privazione del sonno. Le guardie incaricavano inoltre le prigioniere di alternarsi per fare loro il lavaggio del cervello.

Incapaci di sopportare la sofferenza, alcune hanno scritto le dichiarazioni contro la loro volontà. Venivano costrette ogni giorno a scrivere riflessioni personali e a consegnare alle guardie un rapporto dei loro pensieri. E se i loro rapporti non soddisfacevano tutti i requisiti della prigione, dovevano apportare delle modifiche fino a soddisfarli completamente. Ad alcune praticanti non era permesso di dormire fino a quando non avevano terminato. Inoltre venivano costrette a guardare e ascoltare la propaganda che diffamava il Falun Gong.

Le guardie costringevano le praticanti a sedersi per lungo tempo su dei piccoli sgabelli, i quali avevano dei quadratini scolpiti o modellati sulla superficie di appoggio. Le vittime sono legate e costrette a sedere immobili con la schiena dritta, i talloni paralleli, le mani sulle ginocchia e lo sguardo dritto davanti a loro. Dopo essere sedute per un po’ su questo sgabello, i piccoli quadrati penetrano nella carne, facendo sanguinare e andare in suppurazione i loro glutei.

Privazione della carta igienica e altre necessità

Alle praticanti dovrebbero essere fornire le prime necessità per l’igiene personale, compresa la carta igienica, tuttavia coloro che rifiutavano di essere trasformate ne venivano private.

Ad alcune di loro è stata confiscata la carta igienica il giorno in cui sono state ammesse al carcere e di conseguenza sono state costrette a usare l'acqua all'interno della cella, a strappare pezzi si stoffa dai loro vestiti o persino a usare di nascosto la carta igienica che le guardie non erano riuscite a sequestrarle.

Le praticanti dovevano anche sempre chiedere il permesso di usare il bagno e a causa dei continui rifiuti alcune di loro hanno sviluppato incontinenza o altre irregolarità di escrezione.