(Minghui.org) L'11 aprile 2018 Li Hong è stata condannata illegalmente a tre anni e mezzo di reclusone, per aver parlato sui social della sua fede nel Falun Gong, e nel luglio 2018 poco dopo che il suo appello è stato respinto, è stata rinchiusa nella prigione femminile di Shanghai.

Il Falun Gong o Falun Dafa, è una pratica di meditazione per corpo e mente perseguitata dal regime comunista cinese.

In seguito la prigione ha ostacolato gli sforzi della donna nel voler presentare una richiesta di riesame del suo caso. In precedenza la sua famiglia era stata costretta a licenziare il suo primo avvocato e dopo averne assunto un altro, quando a quest'ultimo è stato negato il diritto di incontrare la sua cliente, ha presentato una denuncia contro il carcere ed è ancora in attesa di una risposta.

Li è grata al Falun Gong per aver curato le sue gravi emicranie. Sono diversi anni che chiarisce la verità, scrivendo della persecuzione del Falun Gong su WeChat - una famosa piattaforma di social media in Cina - e sui blog d'oltreoceano. Ciò le aveva comportato un arresto nel 2003, dove era stata condannata ai lavori forzati e l'ultimo il 13 giugno 2017, dove i suoi colleghi e l'amministratore delegato della sua azienda avevano garantito per lei e richiesto il suo rilascio.

I colleghi desiderano il suo ritorno

Li Hong

Quando la donna quarantatreenne, che lavora come funzionario finanziario per una società di software a Shanghai, è stata arrestata, i suoi colleghi e l'amministratore delegato della compagnia hanno inviato delle lettere alla polizia chiedendo la sua liberazione. Il CEO ha scritto: "La signora Li è un modello da seguire per i nostri dipendenti più giovani, li ha fatti crescere, si è presa cura del loro benessere e li ha aiutati quando avevano dei problemi. Ha dato la sua disponibilità per il turn-over a causa della mancanza di personale ed ha contribuito al successo della nostra attività".

Una collega: "Da quando pratica il Falun Gong, Li è diventata più coscienziosa e più rispettosa verso gli altri, è molto rispettata dai suoi colleghi, dai nostri clienti, dai fornitori e dai funzionari delle tasse. Siamo tutti preoccupati per lei e desideriamo che possa tornare presto a lavorare".

La famiglia di Li costretta a licenziare il primo avvocato

Dopo che nel luglio 2018 la donna è stata trasferita alla sezione n. 3 della prigione femminile di Shanghai, gli agenti hanno impedito ai suoi familiari di farle visita, dicendo che Li non aveva richiesto di vederli.

La sua famiglia non si è arresa e ha assunto un avvocato di Pechino, che il 25 settembre ha chiamato il carcere per prenotare un incontro con lei. A quel punto la prigione ha chiamato la famiglia molte volte, promettendo loro di poter vedere Li, se avessero licenziato l'avvocato.

Nel frattempo, dopo che la prigione aveva detto all'avvocato che non aveva tutti i documenti necessari, lui ha chiamato l'agenzia di supervisione del carcere per protestare e alla fine con riluttanza, hanno permesso ai familiari di Li d'incontrarla senza l'avvocato.

Il giorno della visita programmata, un capitano della squadra ha parlato prima con i familiari affermando che il loro avvocato era un imbroglione e che era inutile presentare un'istanza per far riconsiderare il suo caso. Poi la famiglia è stata allontanata per alcune ore, durante le quali il capitano li chiamava per chiedere se intendevano ancora presentare un ricorso per la revisione della causa. Alla fine ha detto loro che potevano tornare per vedere Li.

Negate le visite anche al secondo avvocato

La famiglia di Li ha quindi mantenuto lo stesso avvocato che l'aveva rappresentata durante il suo processo e l'appello. Quando l'11 ottobre il difensore ha presentato una richiesta per incontrarsi con la sua cliente il giorno dopo, il capitano della prigione ha chiamato i familiari della donna, minacciandoli che sarebbero stati responsabili per qualsiasi cosa potesse accadere alla loro cara. Dopo di ciò, hanno iniziato ad essere molto preoccupati per la sua incolumità.

Più tardi, dopo che il 13 ottobre il legale aveva recuperato e fornito tutti i documenti richiesti, ha voluto incontrare la sua assistita, ma gli è stato detto che la visita doveva essere approvata dall'agenzia di supervisione. Il 23 ottobre si è recato di nuovo al carcere, dove è stato informato che la sua richiesta di visita era stata negata. Quando ha chiesto spiegazioni a riguardo, le guardie si sono rifiutate di fornirgliele, e lui ha immediatamente presentato una denuncia alla Procura di Shanghai presso la prigione, ma il pubblico ministero non gli ha comunque concesso un incontro con la sua cliente.

Nel pomeriggio l'avvocato ha anche presentato una denuncia all'ufficio amministrativo della prigione di Shanghai, dove l'addetto alla reception che ha preso i documenti si è rifiutato di dirgli dove poteva andare a lamentarsi ulteriormente.

Il legale ha provato anche in altre agenzie senza ottenere nulla, perciò Il 30 ottobre ha presentato alla Procura di Shanghai una denuncia contro la prigione femminile e l'ufficio di giustizia locali, per avergli negato il suo diritto di incontrare la sua cliente. Anche se gli era stato detto di aspettarsi una risposta da loro entro dieci giorni, tuttora non l'ha ancora ricevuta.

Persone responsabili della persecuzione

Chen Jianhua: guardiano, prigione femminile di Shanghai, + 86-021-57615998

Zhou Ya: capo capitano, reparto numero 3, prigione femminile di Shanghai, + 86-18116337805

Wu Qi: direttore, amministrazione carceraria di Shanghai, + 86-021-24029888

Zhang Bencai: procuratore generale, Procuratore di Shanghai, + 86-02164741350

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