(Minghui.org) Due studiosi di Taiwan hanno parlato dell’appello pacifico dei praticanti del Falun Gong a Pechino, avvenuto 26 anni fa. Uno di loro è Lu Zhengli, autore di A Macro-History of Communist World (La grane storia del mondo comunista) pubblicato nel 2020. L’altro è Kao Wei-pang, presidente dell’Associazione delle vittime degli investimenti in Cina (VICA).

L’appello ha avuto luogo il 25 aprile 1999 ed è spesso indicato come la protesta di massa più grande e più pacifica avvenuta nella storia cinese. Quel giorno, oltre diecimila praticanti si sono recati presso l’Amministrazione Nazionale per i Reclami e le Proposte Pubbliche di Pechino per chiedere alle autorità il rilascio dei 45 praticanti arrestati illegalmente a Tianjin tre giorni prima. I praticanti hanno chiesto al governo di concedere loro un ambiente per praticare la loro fede (la Costituzione cinese garantisce la libertà di credo) e di pubblicare libri sul Falun Gong. Zhu Rongji, l’allora premier cinese, parlò con i praticanti e promise che i prigionieri di Tianjin sarebbero stati rilasciati. Dopo aver appreso la buona notizia, i praticanti hanno ripulito l’area e se ne sono andati in silenzio.

Jiang Zemin, l’allora capo del Partito Comunista Cinese (PCC), si oppose al modo in cui era stato gestito l’evento e sostenne che i praticanti avevano assediato Zhongnanhai, la sede del governo centrale cinese (che si trova esattamente nell’area dell’ufficio per gli appelli dove si erano recati i praticanti). Jiang ha lanciato da solo la persecuzione del Falun Gong, che è ancora in corso dopo 26 anni.

“Assedio” non è un dato di fatto, ma un atto intenzionale per screditare

Lu ha diretto un’azienda internazionale a Taiwan e in Cina e in seguito è diventato consulente per diverse aziende taiwanesi. Ha vissuto la riforma e l’apertura economica della Cina e acquisito una profonda conoscenza del PCC. Sa che il PCC non rappresenta la vera Cina e ha trascorso cinque anni a studiare la storia del Partito e nel 2020 ha pubblicato il libro A Macro-History of Communist.

Lu Zhengli, autore di “A Macro-History of Communist World”

Riguardo all’appello a Pechino con il quale i praticanti del Falun Gong volevano richiedere di rilasciare i praticanti di Tianjin, di legalizzare la pubblicazione di libri e riconoscere ufficialmente il loro diritto di praticare, Lu ha detto che le loro richieste sono “diritti umani fondamentali”. Non poteva credere che Pechino avesse lanciato la persecuzione in risposta alla protesta pacifica.

Il giorno successivo alla manifestazione, il portavoce dell’Amministrazione per i Reclami e le Proposte Pubbliche ha dichiarato a un giornalista dell’agenzia di stampa Xinhua che la protesta era legale. Tuttavia, due settimane dopo Jiang ha pubblicato un articolo su People’s Daily, organo di informazione del PCC, in cui affermava che il 25 aprile i praticanti del Falun Gong avevano assediato Zhongnanhai.

La parola “assedio” ha avuto un grande impatto sulle masse e fatto sì che molti sviluppassero un’opinione negativa sul Falun Gong. Per questo motivo alcuni hanno considerato la protesta come l’ultima goccia che ha spinto il PCC a lanciare la persecuzione. Riguardo a quest’ultima teoria Lu non è d’accordo: “Quando il PCC vuole reprimere qualcuno, lo infanga, gli attribuisce un’etichetta e il gioco è fatto. Questa è una tattica comune utilizzata dal PCC. Molti non se ne accorgono e vengono manipolati per credere alle bugie del PCC. Dovremmo mettere in discussione qualunque annuncio o parola usati nei notiziari diffusi dal PCC. Non ha usato questa tattica solo contro il Falun Gong, ma anche contro gli avvocati per i diritti umani e alcuni gruppi religiosi”.

Lu ha suggerito di chiedersi: “I praticanti del Falun Gong non sono forse rimasti in piedi in silenzio con i loro libri in mano? Hanno gridato slogan e tenuto striscioni? Hanno portato armi, manganelli, o lanciato pomodori o uova? La risposta è no. La parola “assedio” non è un dato di fatto, ma un atto intenzionale per screditare”.

Lu è d’accordo con i principi del Falun Gong di Verità, Compassione, Tolleranza e crede che le persone debbano essere gentili e sacrificarsi per la verità. Ha detto che i praticanti al di fuori della Cina stanno facendo molto per aiutare a porre fine alla persecuzione in Cina, e spera che un giorno il popolo cinese si svegli alla verità.

Le leggi sono solo parole in Cina

Kao è andato in Cina per avviare un’azienda nel 1997, ma due anni dopo i funzionari cinesi gliel’hanno portata via. È stato testimone della corruzione del PCC e per questo ha fondato VICA. Dopo questa dolorosa lezione, Kao ha capito che in Cina non esiste il bene e il male, ma solo il perseguimento degli interessi: tutte le leggi sono solo parole e l’ultima parola spetta sempre agli alti funzionari e alle persone potenti.

Kao Wei-pang, responsabile dell’Associazione delle vittime degli investimenti in Cina (VICA)

Parlando del 25 aprile 1999 Kao ha dichiarato: “In Cina, l’appello è solo un involucro, uno strumento utilizzato dal governo per calmare il popolo e stabilizzare il proprio regno. L’appello non è mai un mezzo legale per la tutela dei diritti delle persone”.

“Anche presentare degli appelli è un percorso lungo e il governo lo ha usato per logorare la volontà delle persone. Molte persone hanno passato 10 o 20 anni di appelli, ma il risultato è che hanno speso tutto quello che avevano e non hanno ancora ottenuto giustizia”.

Kao ha detto di rispettare l’impegno dei praticanti, che prosegue da 26 anni, di raccontare alla gente i fatti della persecuzione. Solo le persone con una fede salda hanno una tale volontà di andare avanti nonostante tutte le tribolazioni. Spera che i praticanti in Cina siano al sicuro.