(Minghui.org) La disabile Zhu Ya di Wuhan, cinquantatré anni, è stata arrestata perché praticante del Falun Gong, e ha poi subito il saccheggio dell'abitazione mentre sua figlia era in casa da sola. Il 17 luglio 2018 alla figlia, che per quattordici mesi non aveva avuto il permesso di vederla, è stato notificato che sua madre era stata condannata a otto anni di carcere. Successivamente Zhu ha presentato ricorso.

La donna attribuisce la guarigione della disfunzione del suo rene e il fatto di essere riuscita a muovere la gamba disabile, alla pratica costante degli esercizi meditativi del Falun Gong, una pratica per la coltivazione del corpo e della mente, che tuttora viene perseguita in Cina.

Accuse senza fondamento e nessuna prova diretta presentata in Tribunale

Il 15 giugno 2018 la praticante Zhu è stata processata nel Tribunale distrettuale di Huangpo con l'accusa di “utilizzo di un culto per minare l'applicazione della legge” (l'articolo 300 del Codice penale cinese) – l'incriminazione comunemente usata contro i praticanti del Falun Gong. In risposta lei ha sostenuto che era fisicamente incapace di minare qualsiasi applicazione della legge, e il suo Avvocato ha sottolineato che le prove presentate non erano tali da sostenere l'accusa.

Le prove fornite dal Pubblico Ministero includevano volantini, CD e libri del Falun Gong, ma poiché non c'era alcuna prova diretta che collegasse Zhu al crimine di cui era accusata, l'Avvocato ha chiesto che fosse rilasciata incondizionatamente.

La difesa ha inoltre evidenziato che la Cina non ha mai promulgato una legge che ritenga il Falun Gong una “setta”. Una nuova interpretazione statutaria entrata in vigore il primo febbraio del 2017 non fa menzione del Falun Gong e sottolinea che ogni accusa contro chiunque sia coinvolto in una setta deve essere basata su solide basi legali. Dal momento che nessuna legge in Cina definisce il Falun Gong una setta, l'accusa contro di Zhu non ha nessun fondamento.

Una delle prove contro la praticante era il possesso, la lettura e la diffusione dei libri del Falun Gong. La Polizia e i Pubblici Ministeri hanno citato come motivazione due comunicazioni emesse nel luglio del 1999 dall'Amministrazione cinese della stampa e delle pubblicazioni, che vietavano la pubblicazione dei libri del Falun Gong. Nondimeno nel 2011 l'Amministrazione ha emesso un'abrogazione del divieto, ed è perciò completamente legale per i praticanti possedere i libri del Falun Gong.

Visite negate per più di un anno

Al momento del processo erano passati 441 giorni da quando la figlia aveva visto la madre l'ultima volta. Durante l'udienza, che è durata un'ora e mezza e terminata senza che venisse emesso alcun verdetto, tutti i partecipanti sono stati videoregistrati. Il periodo di detenzione al quale è stata sottoposta la donna è durato molto più di quanto previsto dalla legge, e inoltre è stato violato il suo diritto di ricevere visite.

Un mese dopo è stata dichiarata colpevole e condannata a otto anni di prigione.

Figlia usata con l'inganno come testimone dell'accusa

Il 25 aprile del 2017, dopo l'arresto, Zhu è stata prima rinchiusa nel centro di detenzione a Wuhan in una cella per criminali pericolosi, e dopo due settimane trasferita in una normale.

Il giorno del suo arresto la Polizia le ha preso le chiavi e ha saccheggiato la sua casa mentre era presente sua figlia, che è rimasta cosi terrorizzata da non notare ciò che hanno confiscato. Successivamente anche lei è stata arrestata senza che le fossero citati i suoi diritti, e prima di venire rilasciata è stata interrogata e costretta a firmare la deposizione e ad apporvi le impronte digitali.

Quando la figlia si è resa conto che aveva accettato di essere testimone dell'accusa e di testimoniare contro sua madre in Tribunale, ha scritto una lettera al Pubblico Ministero, al Giudice e al suo Avvocato, spiegando in che modo era stata ingannata a mettere le sue impronte su una deposizione che non comprendeva e non concordava. Secondo lei, il funzionario che l'ha interrogata ha cambiato la frase che aveva effettivamente detto, cioè: “Non lo so”, in “Appartengono a mia madre”.

Il giorno prima del processo il Giudice l'ha chiamata sul posto di lavoro minacciandola che l'avrebbe perso se non si fosse presentata in Tribunale, ma durante l'udienza, nonostante fosse nell’elenco dei testimoni, non è mai stata chiamata a deporre.