(Minghui.org) Il Partito Comunista Cinese (PCC) insiste nel sostenere che non ha nascosto alcuna informazione sull'epidemia di coronavirus, tuttavia sono emerse nuove prove più sostanziali per invalidare questa affermazione. Di seguito ne vengono riportate alcune.

Documento rilasciato il 3 gennaio dalla Commissione nazionale per la Salute cinese

Il 3 gennaio 2020 la Commissione nazionale per la Salute della Cina ha emesso un documento riservato che dichiarava quanto segue:

(1) Tutti i governi regionali e le commissioni sanitarie devono gestire i campioni di coronavirus che hanno causato la polmonite di Wuhan in base alle norme sui “Microrganismi altamente patogeni (Tipo 2)”;

(2) Tutte le organizzazioni correlate non devono fornire o rilasciare i risultati dei test a qualsiasi altra organizzazione o individuo senza autorizzazione;

(3) Tutte le strutture mediche devono interrompere immediatamente l'esecuzione di qualsiasi test virale;

(4) Tutte le strutture mediche devono distruggere tutti i campioni dei pazienti;

(5) I medici in prima linea a Wuhan non devono divulgare alcuna informazione sulla polmonite di Wuhan.

Nello stesso periodo otto medici, tra cui il dottor Li Wenliang (morto in seguito per coronavirus), sono stati rimproverati dalla polizia per aver condiviso con i loro colleghi sui social media le loro preoccupazioni circa i sintomi dell'infezione da virus.

Chiaramente, prima del 3 gennaio le autorità del PCC erano state informate del pericolo costituito dall'elevata contagiosità del coronavirus, ma invece di avvertire le persone in Cina e in tutto il mondo hanno nascosto informazioni vitali e cercato di coprire lo scoppio dell'epidemia.

La trasmissione da uomo a uomo era nota già nel 2019

La rivista online Nature-Microbiology ha pubblicato un rapporto di Liu Manqing, vicedirettore del Laboratorio di Biologia patogena del Centro per il Controllo delle malattie di Wuhan. Liu ha dichiarato nel documento che lui e il suo team hanno riesaminato 640 tamponi della gola raccolti dal 6 ottobre 2019 al 21 gennaio 2020 da pazienti a Wuhan con malattia simil-influenzale e hanno scoperto che nove erano positivi al SARS-CoV-2RNA, il che suggerisce la trasmissione comunitaria del SARS-CoV-2 a Wuhan alla fine del 2019 o all'inizio del 2020.

New News di Taiwan ha ottenuto due documenti interni riservati ad alti funzionari del governo del PCC, che hanno rivelato che alla fine di dicembre 2019 diverse società di genetica avevano scoperto “coronavirus simili alla SARS” e riportato la notizia ai dipartimenti competenti di Wuhan, della provincia dello Hubei e della Commissione sanitaria nazionale.

Tuttavia il primo gennaio la Commissione sanitaria della provincia dello Hubei ha notificato telefonicamente a quelle società di genetica di interrompere ulteriori test, distruggere tutti i campioni di virus e vietare la pubblicazione di documenti e dati pertinenti.

Due giorni dopo, il 3 gennaio, la Commissione nazionale per la Salute cinese ha impartito le stesse istruzioni dettagliate all'inizio di questo articolo.

Il 28 febbraio 2020 il South China Morning Post di Hong Kong ha riferito che il 5 gennaio un team di ricercatori del Centro per la Salute pubblica di Shanghai e della Scuola per la Salute pubblica dell'Università di Fudan, guidato da Zhang Yongzhen, ha isolato e completato la sequenza del genoma del nuovo coronavirus e che l'11 gennaio ha pubblicato i risultati dell'analisi.

Tuttavia, il 12 gennaio al Centro per la Salute di Shanghai è stato ordinato senza alcuna spiegazione dalla Commissione sanitaria municipale di Shanghai di interrompere la ricerca.

Xiao Hui, giornalista investigativo di Caixin, ha rivelato che il South Central Ospital di Wuhan aveva ripetutamente denunciato casi sospetti alla Commissione per la Salute pubblica di Wuhan prima che la città venisse isolata. Tuttavia, quando gli esperti dell'Organizzazione Mondiale della Sanità hanno visitato la struttura, le autorità, invece di prendere le denunce sul serio, hanno criticato i dirigenti dell'ospedale per “non essere politicamente consapevoli” e hanno ordinato loro di “prestare attenzione all'impatto politico e al modo in cui parlano”.

Le autorità del PCC non hanno riconosciuto pubblicamente la trasmissione da uomo a uomo fino al 20 gennaio.

Coperture intenzionali

Il 15 aprile Associated Press ha riferito che, sulla base di documenti interni del regime comunista cinese, il 14 gennaio Ma Xiaowei, direttore della Commissione nazionale per la Salute cinese, ha tenuto una videoconferenza segreta con i funzionari sanitari provinciali.

Un appunto ha rivelato che durante la conferenza è stato sollevato l'argomento dei “casi di gruppi di infezione”, e si è detto che “l'attuale situazione della malattia contagiosa è complessa e grave e pone la più grande sfida dall'epidemia della SARS nel 2003”.

Nella nota, Ma Xiaowei ha chiesto in special modo ai funzionari sanitari locali di “dare priorità” alla stabilità politica e sociale, in particolare in vista delle imminenti “Due sessioni” (le riunioni annuali della Conferenza Politica Consultiva del Popolo cinese e l'Assemblea nazionale del Popolo, l'organo legislatore della Cina che approva ciecamente le decisioni del Partito).

Secondo una serie di documenti riservati del PCC ottenuti da Epoch Times il 19 aprile, il 15 gennaio la Commissione nazionale per la Salute cinese ha tenuto una sessione di formazione video a livello nazionale su come rispondere e controllare l'epidemia, che è stata trasmessa attraverso le filiali delle province e delle contee ai funzionari del settore sanitario.

Ad esempio la Commissione per la Salute della regione autonoma della Mongolia Interna ha emesso un “avviso urgente” ai dipartimenti sanitari regionali con l'ordine di seguire le istruzioni dall'alto. Il documento era contrassegnato come “Espresso” e riportava la dicitura: “Per uso interno, non deve essere trasmesso via internet”. Il 19 e il 20 gennaio sono stati emessi almeno sette aggiornamenti sull'epidemia e tutti sono stati contrassegnati con la dicitura: “Non divulgare”.

Il 18 gennaio il segretario del PCC della Commissione per la Salute della regione autonoma della Mongolia Interna ha consegnato un rapporto di lavoro di oltre diecimila parole, in cui non è stato menzionato nulla sul coronavirus di Wuhan; al contrario ha glorificato il PCC e i “risultati” della commissione sanitaria.

Durante i sei giorni tra il 14 gennaio e il 19 gennaio, considerati critici nel controllo del virus, il leader del PCC Xi Jinping è rimasto completamente in silenzio; ha fatto un commento pubblico sull'infezione solo il 20 gennaio. A quel punto un gran numero di persone erano già state infettate, soprattutto a Wuhan.

Solo il 25 gennaio la Commissione nazionale per la Salute cinese ha emesso un avviso col quale ha chiesto di “rafforzare la prevenzione e il controllo della comunità”. A quel punto erano passati quasi due mesi da quando l'infezione era già nota all'inizio di dicembre.

Risposta ritardata a Wuhan

L'infezione da coronavirus di Wuhan era nota dal primo dicembre o anche prima e i casi di trasmissione da uomo a uomo sono diventati più rilevanti a metà dicembre. Entro il primo gennaio sono stati segnalati un totale di 47 di questi casi, comprese le infezioni di sette medici. Il 22 gennaio il numero di pazienti è aumentato a 425 e altri otto medici sono stati infettati, indicando che l'infezione rappresentasse già un grave pericolo per la salute.

Tuttavia l'11 gennaio la Commissione per la Salute di Wuhan ha ancora dichiarato nel suo bollettino che “non è stato riscontrato alcuna infezione da parte degli operatori sanitari e che non vi sono prove chiare della trasmissione da uomo a uomo”.

Secondo le normative burocratiche del PCC, le commissioni sanitarie a livello comunale e di contea non devono rilasciare ai media informazioni su un focolaio di malattia senza il permesso della commissione sanitaria provinciale, che a sua volta potrebbe anche necessitare dell'approvazione delle autorità superiori.

Pertanto la provincia dello Hubei non ha adottato le misure corrispondenti in risposta al devastante scoppio dell'epidemia fino al 24 gennaio, un giorno dopo il blocco di Wuhan, e dopo che il leader del PCC Xi Jinping ha affrontato pubblicamente il problema. C'è stato un ritardo di un mese nella loro risposta e a quel punto il virus si era già diffuso in altri posti in Cina e in tutto il mondo.

Ritardi simili sono stati osservati anche a Pechino e Shanghai e nella provincie dello Shenzhen, del Guangdong, dello Zhejiang e in altre regioni.

Organizzazione Mondiale della Sanità complice del PCC nella copertura dei fatti

Negli ultimi dieci anni il PCC ha spinto in modo aggressivo per far eleggere figure a lui favorevoli ai vertici delle agenzie specializzate delle Nazioni Unite affinché agissero a suo favore nelle questioni internazionali.

In un'intervista con Fox News, il consigliere economico della Casa Bianca Peter Navarro ha dichiarato: “Ne controlla già cinque su quindici usando propri delegati, come Tedros [Adhanom Ghebreyesus] presso l'OMS”.

“Il danno arrecato dal controllo del PCC all'organizzazione sanitaria chiave è stato assolutamente enorme. Hanno nascosto i dati riguardanti la trasmissione da uomo a uomo e si sono rifiutati di chiamarla pandemia. Hanno sostanzialmente scoraggiato i divieti di viaggio”.

Di seguito è riportato un breve riassunto di come l'OMS, guidata da Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha risposto allo scoppio del coronavirus.

31 dicembre – Taiwan ha avvisato l'OMS del verificarsi di una polmonite atipica a Wuhan, Cina, suggerendo la possibilità di trasmissione da uomo a uomo. L'OMS non ha risposto.

21 gennaio – Quando le infezioni sono andate fuori controllo in Cina, l'OMS ha minimizzato la gravità dell'epidemia a Wuhan, dicendo che “non ci sono prove chiare per indicare una continua trasmissione da uomo a uomo e che non è necessario disporre restrizioni sui viaggi in Cina”.

26 gennaio – Il sindaco di Wuhan ha rivelato che più di cinque milioni di persone avevano lasciato la città prima del blocco del 23 gennaio. Tra coloro che sono fuggiti dalla città, oltre ventimila sono volati a Bangkok, 7.078 a Hong Kong e 6.145 a Macao.

28 gennaio – Il direttore generale dell'OMS Tedros Adhanom Ghebreyesus è volato a Pechino per incontrare Xi Jinping, affermando che “la velocità nell'agire e l'enorme portata delle azioni della Cina sono viste raramente nel mondo”, il che “mostra l'efficienza della Cina e i vantaggi del sistema cinese” e che “vale la pena per altri Paesi imparare dall'esperienza della Cina”.

30 gennaio – Il coronavirus si era diffuso in 18 Paesi al di fuori della Cina, per un totale di circa 98 casi confermati. L'OMS ha dichiarato lo scoppio di una “emergenza sanitaria pubblica di rilevanza internazionale”, ma ha comunque rifiutato di raccomandare eventuali restrizioni di viaggio o commerciali, principalmente per motivi di interesse economico della Cina.

Tedros ha dichiarato: “Sia chiaro, questa dichiarazione non è un voto di sfiducia alla Cina. Al contrario l'OMS continua ad avere fiducia nella capacità della Cina di controllare l'epidemia”.

26 febbraio – Quando sono esplosi i casi di infezione in Corea del Sud, Iran e Italia, Tedros ha ancora affermato che “non esistono prove di trasmissione comunitaria del virus”.

2 marzo – Quando il coronavirus si era ormai diffuso in almeno 65 Paesi, Tedros ha continuato a sostenere che non era ancora una pandemia.

Solo l'11 marzo, di fronte a prove innegabili, Tedros ha dichiarato lo scoppio di una “pandemia globale”.

La sua dichiarazione ritardata ha comportato che alcuni Stati membri hanno perso preziose e cruciali opportunità di prevenzione e subito perdite disastrose.

Repressione delle voci sull'infezione

Dopo che l'8 aprile il blocco a Wuhan è stato revocato, è sembrato che la pandemia in Cina fosse finita.

Ma solo pochi giorni dopo, secondo un “Avviso d'allarme” emesso il 13 aprile dal Gruppo di lavoro per il Coronavirus della provincia dello Heilongjiang, sono scoppiati dei casi di coronavirus nella città di Harbin, nello Heilongjiang.

I residenti locali hanno anche rivelato che migliaia di persone erano in fila al di fuori dei dipartimenti di emergenza ospedalieri. Alcuni ospedali hanno dovuto chiudere poiché anche molti medici e infermieri erano infetti. Per la seconda volta Harbin è stata isolata.

Proprio come le autorità di Wuhan non hanno completamente riportato i loro casi locali, le autorità di Harbin hanno fatto la stessa cosa. Secondo un documento interno ottenuto da Epoch Times, il 10 aprile il Centro per il controllo delle malattie del distretto di Daowai, ad Harbin, ha riportato 34 casi positivi, ma solo due casi confermati sono comparsi nel conteggio ufficiale.

Il 20 aprile la Commissione provinciale di Disciplina e di Ispezione dello Heilongjiang ha emesso un avviso interno che richiedeva ai dipendenti pubblici di “mantenere la segretezza sul lavoro” e di non discutere della situazione epidemica locale su internet o sui social media. Coloro che avrebbero violato la regola sarebbero stati etichettati come persone che “diffondono voci”.

Nel frattempo, la stessa politica di insabbiamento continua ancora a Wuhan. Nelle ultime settimane il dottor Yu Xiangdong, un medico in prima linea nello Hubei, è stato punito e retrocesso dalla sua posizione di vicedirettore dell'ospedale centrale di Wuhan per aver espresso le sue opinioni personali su temi riguardanti l'indossare maschere per il viso, la gestione familiare della situazione, il blocco della città, gli screening di ammissione, la rilevazione dell'infezione con l'uso della TAC e l'uso di erbe medicinali cinesi la cui efficacia non è stata dimostrata dalla scienza attuale. Il medico è stato accusato di “diffamare le politiche nazionali di prevenzione dell'epidemia”.