(Minghui.org) Nel 2016 Liu Dianyuan è stato condannato a undici anni e mezzo di pena detentiva per la sua fede nel Falun Gong, una pratica spirituale e di meditazione che viene perseguitata dal Partito Comunista Cinese dal luglio 1999. A causa dei continui abusi subiti in prigione, l’uomo è diventato incapace, ma le autorità carcerarie si sono comunque rifiutate di rilasciarlo.
Il 24 dicembre dell’anno scorso sua moglie, Liu Yufang, di sessantasei anni, ha sporto denuncia contro i perpetratori coinvolti nel suo caso, tra cui Jiang Jie e Zhang Lihui, direttori dell'Ufficio di sicurezza interna della contea di Jianping e il giudice Li Yan del tribunale della contea di Jianping.
La moglie dell’uomo, anch’essa praticante del Falun Gong, ha affermato che, da quando è iniziata la persecuzione nel 1999, nessuna legge ha mai criminalizzato il Falun Gong in Cina. Inoltre, sia il pubblico ministero che il giudice non hanno giustificato le loro accuse contro suo marito, ovvero "aver minato l’applicazione della legge con un organizzazione di culto". Ha affermato che il materiale del Falun Gong trovato nella loro casa era destinato a informare le persone sulla persecuzione e non ha causato alcun danno a nessuno.
Ha chiesto che gli autori siano ritenuti responsabili per aver arrestato arbitrariamente suo marito e per averlo condannato. Ha inoltre chiesto che il marito venga rilasciato immediatamente e risarcito per il disagio mentale e le lesioni fisiche subite nel corso degli anni.
Pesante pena detentiva
Il 9 novembre 2015 Liu, residente a Lingyuan, nella provincia del Liaoning, è stato arrestato a casa della sorella da otto agenti guidati da Jiang Jie. Sua nipote ha chiesto loro perché lo stavano arrestando, ma i poliziotti si sono rifiutati di rispondere e l’hanno spintonata, causandole un infarto. La polizia non ha nemmeno informato la famiglia riguardo al luogo di detenzione. Ci sono voluti giorni per scoprire che l’uomo si trovava nel centro di detenzione della contea di Jianping.
Quando, il 7 aprile 2016, è comparso davanti al tribunale della contea di Jianping, alla vista della moglie Liu è scoppiato in lacrime. Le ha detto che la polizia ha inventato il caso contro di lui, sostenendo di averlo arrestato in un luogo pieno di libri e materiale informativo del Falun Gong, invece che a casa di sua sorella.
Pur avendo preparato una dichiarazione di difesa, Liu non l’aveva portata perché, quando le guardie hanno condotto l’uomo in tribunale, non gli hanno detto che avrebbe dovuto affrontare il giudice.
In seguito il giudice Li Yan l’ha condannato a undici anni e mezzo, accusandolo di aver fatto causa a Jiang Zemin, l’ex capo del regime comunista, ora deceduto, che aveva ordinato la persecuzione. Liu è stato anche accusato di "minare l'applicazione della legge", un pretesto standard usato per criminalizzare i praticanti del Falun Gong.
Dopo che Liu ha espresso l'intenzione di appellarsi contro il verdetto, il giudice Li si è rifiutato di rilasciare una copia cartacea della sentenza. Ha anche continuato a dire alla moglie che non aveva preso una decisione sul suo caso e le ha comunicato la sua lunga condanna solo dopo la scadenza del periodo di appello. La famiglia non ha mai ricevuto una copia del verdetto.
Lo sviluppo delle patologie in carcere
Durante la festa di metà autunno del settembre dell’anno scorso, una guardia carceraria ha chiamato la moglie per chiederle di comprare dei pannoloni per suo marito. Solo allora le è stato detto che l’uomo era diventato incapace di intendere e di volere, dopo che per anni gli erano state negate le visite dei familiari.
Il 25 settembre la guardia ha chiamato nuovamente la donna, affermando che se la famiglia fosse riuscita a pagare 6.000 yuan (circa 820 euro) per effettuare un esame fisico a Liu, avrebbero chiesto all'ufficio dell'amministrazione penitenziaria di rilasciarlo con la condizionale. Ma lei ha detto di non potersi permettere di pagare, perché ora non ha alcun reddito. Il suo giardino è pieno di erbacce che non è riuscita a rimuovere e anche la sua casa ha molti danni che non può permettersi di riparare.
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