(Minghui.org) Una donna di 71 anni di Hengyang, nella provincia dell’Hunan, si trova ora reclusa nel carcere femminile provinciale per scontare un anno di pena a causa della sua fede nel Falun Gong, una disciplina spirituale perseguitata dal Partito Comunista Cinese dal 1999.

Il 27 giugno dello scorso anno Luo Fenghua è stata denunciata per aver parlato alle persone del Falun Gong. È stata arrestata mentre si accingeva a pagare la spesa alla cassa di un supermercato ed è stata portata alla stazione di polizia di via Tongtai, dove c’erano anche le quattro persone che l’avevano denunciata.

Senza mostrare il mandato di arresto o gli identificativi la polizia ha trattenuto Luo in detenzione per otto ore, prima di trasferirla al carcere di Changsha intorno all 23:00. Sei agenti l’hanno ammanettata così bruscamente che le si è staccato un pezzo di carne di circa cinque centimetri dal pollice sinistro. Il dito le sanguinava, ma la polizia non si è offerta di medicarglielo e per di più l’ha sbattuta in una stanza buia e fredda, dove le ha fatto trascorrere l’intera nottata.

Alle 10:00 del mattino seguente, intirizzita e affamata, è stata portata all’ospedale per un esame medico, a cui però si è rifiutata di sottoporsi. Allora la polizia ha falsificato l’esito degli esami. Quando è stata portata al quarto centro di detenzione di di Changsha intorno alle 16:30 era digiuna da oltre 40 ore ed era così debole che la polizia ha dovuto metterla su una sedia a rotelle.

La polizia le ha confiscato 320 yuan (circa 41 euro) in banconote con sopra stampate informazioni sul Falun Gong. Questo è uno dei modi in cui i praticanti sensibilizzano la gente sulla persecuzione. Le banconote sono poi state usate come prova contro di lei.

Luo è stata tenuta in detenzione per quattro mesi e 12 giorni, durante i quali ha perso oltre 10 chili.

Il 28 ottobre intorno alle 22:00 ha improvvisamente avuto un forte mal di stomaco ed è caduta dal letto finendo per terra. La guardia le ha dato degli antidolorifici e intorno alle 23:00 l’ha portata all’ospedale di Changqiao. Il medico ha detto che aveva una pancreatite acuta e necessitava di un immediato intervento chirurgico. Ma lei non si fidava né delle guardie né del medico e non ha dato il consenso all’operazione.

Le guardie l’hanno portata in un altro ospedale per una seconda opinione e il medico ha confermato la stessa diagnosi. Lei ha di nuovo rifiutato di dare il consenso all’intervento chirurgico. Quindi è stata portata di nuovo all’ospedale di Changqiao, ammanettata e incatenata, per una trattamento medico conservativo. Le guardie l’hanno incatenata al letto e non le hanno tolto le catene ai piedi nemmeno per andare in bagno. Le catene sfregavano contro i talloni e li facevano sanguinare.

Il 17 novembre degli agenti l’hanno caricata su una volante, mentre era ancora ammanettata e incatenata, e l’hanno portata al tribunale. Il tragitto è durato oltre un’ora.

Arrivati al tribunale, Luo era stordita e non è riuscita ad uscire subito dall’auto. Un agente sulla ventina le ha urlato tre volte: “Allora esci, o no?”. Prima che potesse rispondere l’ha tirata fuori dalla macchina, l’ha trascinata in una stanzetta del tribunale e l’ha buttata su una sedia. Nel tragitto i piedi avevano sfregato per terra e la maglietta si era sollevata andandole a ricoprire la faccia impedendole di respirare, inoltre la parte superiore del corpo era rimasta completamente scoperta.

Dopo aver ripreso fiato ha detto all’agente più giovane: “Non hai nessun anziano in famiglia? Se tua nonna fosse umiliata in questo modo che cosa diresti? Di quale crimine mi accusate? E perché mi dovete trattare così? Come ti chiami?”. Lui le ha detto di chiamarsi Zhang di cognome.

Quando si è rifiutata di entrare nell’aula del tribunale i giudici e il cancelliere sono andati nella stanzetta e le hanno riferito che era stata condannata a 12 mesi più 15 di libertà vigilata e 10.000 yuan (circa 1.300 euro) di multa. Il suo crimine era quello di “minare l’applicazione della legge servendosi di un’organizzazione di culto”, il pretesto standard usato per incastrare i praticanti del Falun Gong.

Quando ha fatto ricorso, il 22 dicembre, la polizia e l’ufficio giudiziario l’hanno molestata e minacciata di riportarla in custodia. Il 28 dicembre un funzionario del tribunale è andato a casa sua con un avvocato, ma Luo non c’era, allora hanno costretto suo figlio a firmare la lettera per ritirare il ricorso. Poi è stata portata al carcere femminile provinciale dell’Hunan, anche se non era stata prevista l’incarcerazione, ma la libertà vigilata.