(Minghui.org) Verso la fine di febbraio di quest’anno, mentre studiavo lo Zhuan Falun, all’ultimo capoverso del paragrafo “Riguardo all’invidia”, della settima lezione, mi sono improvvisamente resa conto di dovermi guardare dentro urgentemente, nel modo più profondo possibile per sradicare completamente dalla mia dimensione l’invidia malevola. Non avevo dubbi che il Maestro mi avesse spinta compassionevolmente a fare seriamente questo lavoro di ricerca: scoprire e sradicare quest’invidia e l’attaccamento fondamentale che essa controlla. Nel mio spazio, l’invidia fingeva di essere “bianca” e aveva manipolato subdolamente il mio attaccamento alla ricerca del prestigio.
Ho guardato nella mia cartella dove tengo le storie di coltivazione che ho scritto durante i miei quasi 20 anni di coltivazione. Ce ne sono molte. Ma non ho mai parlato di eliminare la gelosia. Ho deciso di ripercorrere il mio cammino, di guardare in profondità e di analizzarlo.
Il mio atteggiamento nei confronti del sentimento dell’invidia era il seguente: l’invidia è certamente un male. Il Maestro ha dedicato un intero paragrafo di un capitolo a questo argomento, ma personalmente io non provo invidia. Sono una persona benevola e non tramo contro nessuno.
Una volta ho potuto avvicinare un’amica praticante e confessarle che ero gelosa di lei perché stava coltivando bene. In risposta, mi ha abbracciata. Un giorno, ho raccolto tutto il mio coraggio e ho scritto a un’altra praticante per farle sapere che provavo invidia nei suoi confronti, e che scaturiva dall’ammirazione per lei, il che per molti anni mi aveva trattenuta dall’avvicinarmi per parlarle sinceramente. La reazione di quella praticante è stata straordinariamente commovente. In quella fase nella mia coltivazione mi sono calmata, e mi son detta che il sentimento dell’invidia l’avrei potuto controllare. Dentro di me si è rafforzato il pensiero che l’invidia nel mio universo era un sentimento completamente gestibile e non era così malvagio.
Ma mi sbagliavo di grosso. Non avevo pensato di sradicarlo, lo sopportavo pensando che fosse abbastanza gestibile, e l’obiettivo principale, certamente in modo inconscio, era quello di non perdere credibilità agli occhi di quelle praticanti, in modo che non pensassero male di me, cosa che mi avrebbe procurato un dolore insopportabile che non volevo patire.
Mentre scrivo questa esperienza, non a caso, mi sono ricordata che una volta una praticante mi ha chiesto: “Cosa c’è di male nell’invidia bianca, non si complotta contro nessuno, perché questo sentimento, ad esempio, stimola la crescita in campo professionale?” Alla sua domanda ho risposto a me stessa: “Forse ha ragione, l’invidia bianca non è una cosa negativa, perché non fa male a nessuno”. Con questa risposta, ho dato a me stessa l’opportunità di permettere all’invidia di nascondersi astutamente nel mio universo.
Significava che “l’invidia bianca” non avrebbe generato malvagità, quindi, ancora una volta, potevo tranquillizzarmi e non darle importanza. Va sottolineato che questa praticante è deceduta. Forse perché non ha prestato seriamente attenzione all’eliminazione dell’invidia?
Ho avuto un brivido e ho temuto di non raggiungere il compimento, perché il miglioramento è fragile se non si elimina l’invidia. Non importa di che colore si camuffi: ogni invidia deve essere eliminata! Perciò devo urgentemente guardarmi dentro il più profondamente possibile.
Perseguire le lodi dell’infanzia
Torniamo alla mia infanzia, alla mia adolescenza. Quando avevo 12 o 13 anni, ammiravo gli studenti delle scuole superiori e desideravo molto incontrare uno di loro. Quando incontravo ragazzi più grandi di me, aggiungevo sempre un paio di anni alla mia età e mentivo senza vergogna dicendo che sapevo e potevo fare questo e quello, mi vantavo per sopperire a quello che mi mancava e, nel contempo, mi divertiva impressionarli.
Quel piacere però non durava a lungo: quando la verità veniva a galla e venivo allontanata, sprofondavo nella tristezza e nel dolore, fino alla successiva occasione di interazione con altri studenti del liceo. Qual’era lo scopo di tutto questo? Per soddisfare il piacere momentaneo di sentirsi importanti agli occhi di chi è grande e intelligente. Ripensandoci, ora mi rendo chiaramente conto che ero guidata dall’invidia che mi spingeva a vantarmi, a fare bella figura e a ingannare gli altri.
Quando vivevo in Unione Sovietica (dove sono nata e da dove poi sono emigrata in Israele), dall’età di 15 a 19 anni, ho studiato nelle scuole di musica e l’invidia si manifestava in modo più complicato. È stato molto difficile per me superare la paura del palcoscenico; le mani mi tremavano durante un’esibizione. Ho persino dovuto cambiare professione, abbandonare la musica e dedicarmi alla scienza. Solo ora capisco perché è successo. Mia madre aveva scelto la mia specializzazione: insegnante di musica, perché è una specializzazione prestigiosa per le donne. Ho iniziato la mia vita consapevole con questo atteggiamento: una specializzazione prestigiosa.
E cosa significa avere una specializzazione prestigiosa agli occhi di una società malata? Significa che sarete invidiati. Quando una persona ha una specializzazione prestigiosa, la sua vita è considerata di successo.
Ma questo atteggiamento non ha reso la mia vita professionale di successo. Solo dopo circa sette anni, quando ero già in Israele ed ero diventata una religiosa ortodossa, sono tornata alla musica e ho iniziato a organizzare concerti gratuiti per le donne, col solo scopo di arricchirle culturalmente. Alle donne religiose ortodosse, suonavo e cantavo musica classica che, molte di loro, non avevano mai sentito: combinavo programmi speciali con testi tratti dalle scritture religiose. E le mie mani non tremavano affatto durante le esibizioni. Tutti amavano l’atmosfera di intimità spirituale che regnava nel piccolo salotto del nostro appartamento. Durante questi concerti serali, i miei figli piccoli dormivano tranquillamente. Penso che già allora, a metà degli anni '90, durante il periodo della mia vita religiosa, il Maestro mi avesse aiutata a liberarmi del desiderio di fama. In ogni caso in quel periodo durante i miei concerti pregavo sinceramente di aiutare tutte le mie ascoltatrici a crescere spiritualmente, acquisire forza spirituale, in modo che potessero, in seguito, affrontare le loro vite difficili in modo più sereno.
Entrare nei media
In un secondo tempo, dopo il divorzio, ho lasciato il mondo religioso e sono diventata una madre single con sette figli: dovevo guadagnarmi da vivere in qualche modo e l’unico lavoro ufficiale che potevo svolgere era quello di badante per anziani. Il mio cuore era pesante perché non era un lavoro prestigioso ed era scarsamente retribuito.
Sono un insegnante abilitata di musica e posso insegnare musica nelle scuole israeliane. Quando ero credente religiosa ho lavorato in una scuola israeliana per un paio d’anni, ma quando ho lasciato il mondo religioso, una realtà piuttosto chiusa, non ho più potuto più lavorare in una scuola, né mentalmente né fisicamente. Non potevo nemmeno cercare lavoro nelle scuole perché avevo i miei figli piccoli da accudire. Potevo lavorare solo come badante, e solamente per poche ore.
Dopo aver ottenuto la Fa, nel 2005, sono entrata a far parte del progetto The Epoch Times, appena aperto sia in ebraico che in russo, e ho cominciato a scrivere articoli; in seguito anche a occuparmi della fotografia. Quando gli estranei mi chiedevano cosa facessi per vivere, rispondevo in modo vago, nascondendo il fatto che lavoravo come badante per gli anziani e che non guadagnavo ancora col giornalismo. Perché lo nascondevo? Non era una professione prestigiosa e non è pregevole lavorare e non essere pagati. Avevo persino nascosto ai miei parenti che lavoravo come badante. Dicevo loro che avevo un reddito sufficiente grazie al servizio di assistenza sociale: ma non era vero. L’invidia mi ha fatto nascere un concetto profondamente radicato in me: il desiderio di prestigio.
Da quando The Epoch Times ha iniziato a essere pubblicato in Israele, l’ho promosso instancabilmente, e io stessa ho scritto articoli in ebraico per due anni e mezzo; lo consigliavo a tutti quelli che incontravo. In seguito, due anni fa, si è presentata l’opportunità di lavorare per la rivista The Epoch Times, che aveva un grande successo e stava rapidamente guadagnando popolarità grazie agli sforzi dei praticanti e alla buona collaborazione. Era il mio sogno lavorare per questa rivista. Quando è iniziata la pubblicazione, l’ho distribuita a tutti i miei conoscenti e amici, e leggevo interamente ogni numero.
Ho deciso che avrei sfruttato l’opportunità di lavorare nella rivista The Epoch Times e ho accettato di affrontare un mese di prova, ma il desiderio di lavorare a questo progetto non era puro; in esso si annidava la gelosia. In quel momento non potevo dedicarmi completamente a questo lavoro, perché ero impegnata in altri progetti importanti che non potevo abbandonare. Non ho superato il periodo di prova. Mi sono resa conto di essere invidiosa di tutti quelli che lavoravano alla rivista e l’ho anche ammesso ad alcuni praticanti.
Ho provato un sollievo incredibile proprio perché ero riuscita a superare il desiderio di prestigio. Nel mio cuore si è aperta la compassione e sono tornata al mio lavoro di badante, libera dal desiderio di fare un lavoro importante.
Dopo aver ripreso questo lavoro, la mia prima cliente si è rivelata una persona molto infelice: non riusciva a perdonare le persone per il minimo errore e giudicava tutti. Ho lavorato per lei tre mesi “sotto tiro”, esposta alle sue critiche e giudizi, ma ho continuato a essere gentile, a dispiacermi per lei e a sottolineare i suoi tratti positivi come: la scrupolosità e la meticolosità che a me mancavano nel fare le cose. Mi ha insegnato a lavare i pavimenti, cosa che fino ad allora avevo fatto solo superficialmente. In realtà mi ha aiutata a cambiare il mio atteggiamento nei confronti delle pulizie e a farle con più pazienza e accuratezza. Perché, in effetti, non ho levato solo la polvere e lo sporco che vedevo, ma ho eliminato in me anche la pigrizia, il disprezzo, il desiderio radicato di una professione prestigiosa e molto altro. Sono cambiata così tanto che io stessa non mi riconoscevo più.
Nell’articolo pubblicato il 10 gennaio 2025 sul sito web Minghui, intitolato Articolo speciale: “Il nostro Maestro”, tra le altre cose, l’autore descrive come il Maestro lavori tutto il giorno prendendosi cura della struttura alla montagna, e raccoglie persino i chiodi e pulisce l’area, ecc. Da allora, ho iniziato a lavorare con cuore leggero, ho eliminato costantemente il desiderio di profitto e ho pensato prima di tutto agli altri e ai loro interessi.
Mi prendo cura di sei persone, ho molto lavoro da fare e sembra che mi rimanga poco tempo per lo studio e i progetti della Fa. Ma poi scopro che è proprio il contrario. Il Maestro fa in modo che abbia abbastanza tempo ed energia per tutti i progetti, perché ho messo le tre cose al primo posto. Il lavoro di badante è il mio ambiente di coltivazione e cerco di pensare prima di tutto agli interessi degli altri in tutto ciò che faccio.
Un’altra possibilità per eliminare l’attaccamento
Mentre stavo scrivendo questa esperienza, mi è capitata una nuova prova. Mi sono occupata di una nuova persona. Inizialmente voleva che facessi le pulizie solo per lei. Era gravemente malata, depressa e non faceva le pulizie al suo appartamento da diversi anni: era difficile spiegare quanto fosse trascurato e quanta polvere compattata vi si fosse accumulata. Ho iniziato a pulire con calma e con gioia, ho usato i miei soldi per comprare vari prodotti per la pulizia. Durante la mia prima visita, come faccio sempre, naturalmente ho iniziato a spiegarle la verità sulla Dafa. Ma lei, per quanto ci avessi provato, non ha accettato la mia spiegazione dei fatti dicendo che questa pratica della Falun Dafa non faceva parte della sua cultura, e ha accettato con riluttanza il fiore di loto.
La volta successiva, mi sono assicurata di pulire talmente a fondo da impietosirla, renderla più amichevole e rendere più facile per me spiegarle la verità. Il risultato è stato buono: la donna era soddisfatta. Nel giro di un mese l’aria nel suo appartamento è diventata fresca e respirabile. Pensavo che ora, essendo abbastanza pulito, potevo ridurre gli sforzi e limitarmi a mantenere la pulizia, il che significava lavorare meno.
Quando sono stata da lei per la quinta volta, ho fatto una pulizia leggera in un’ora e mezza, il doppio più veloce delle volte precedenti. Quando mi sono presentata da lei per la sesta volta, mi ha aperto rabbiosamente la porta, e si lamentata di me, diceva che ero una fannullona, che non lavoravo quanto avrei dovuto, e che oggi mi avrebbe dato un’ultima possibilità di migliorare. Quando sono entrata in soggiorno, in un cassetto che era stato aperto ho visto che c’era un’enorme quantità di polvere dietro. Anche gli armadietti di un altro angolo che non avevo ancora fatto erano stati messi in evidenza. Lei mi ha fatto notare con irritazione tutti i punti in cui c’era polvere e che non avevo ancora pulito.
Ho subito pensato: “Hai ragione, non ho davvero pulito questi posti, li ho solo lasciati fuori dalla mia vista”. Ad alta voce, ho detto: “Farò pulizia in tutti i punti che mi dirai, tuttavia ti prego, non arrabbiarti, posso e vorrei sempre che tu mi dicessi dove e cosa fare, e farò volentieri tutto quello che mi dirai di fare; ma l’ultima volta non mi hai detto nulla”.
Si è arrabbiata ancora di più: “Devo dire io alla donna delle pulizie cosa fare? O è l’addetta alle pulizie che deve sapere come fare e cosa fare, altrimenti non ne avrei bisogno. Non hai nemmeno spolverato bene. Guarda quanta polvere è rimasta dopo che hai pulito”. Mi ha mostrato un paio di libri che erano per metà puliti e per metà no. In quel momento non sono riuscita a spiegarle che le badanti non sono addette alle pulizie o delle inservienti. Ma le sue parole non mi hanno ferita. Il mio cuore è rimasto calmo. Quel giorno ho lavorato per quattro ore senza sosta e a buon ritmo con un unico pensiero fisso: sono pronta a pulire diligentemente il tuo appartamento, se necessario, fino al mattino, finché non cadrò. La tratterò bene e voglio che si salvi.
Prima di andarmene quel giorno, mi sono scusata per averle causato tanti problemi e l’ho ringraziata per avermi fatto notare le mancanze del mio lavoro e avermi permesso di correggerle. Le ho anche chiesto gentilmente se la prossima volta avrebbe potuto dirmi subito che cosa era necessario fare, e di non pensare che io stessi risparmiando sul lavoro. Sono un’artista per natura, la mia testa è piena di idee, quindi la prego di guidarmi e le sarò immensamente grata se mi correggerà nel caso non veda o dimentichi qualcosa. Renderebbe il mio lavoro più armonioso.
Lei era d’accordo, e mi sono sentita più leggera: un altro passo verso la liberazione dal desiderio di una buona reputazione, abilmente manipolato dalla malvagia invidia.
Alla fine di maggio 2025, saranno esattamente 20 anni che ho iniziato il mio viaggio nella Falun Dafa. È solo ora che ho rimosso la maschera bianca dell’invidia, ho iniziato a scavare seriamente alla sua ricerca e ho compreso in che modo avesse controllato la mia radicata dipendenza dalla fama. Ora finalmente ho capito e ho la sensazione di stare iniziando a coltivare veramente.
Non ho parole per esprimere la mia gratitudine allo stimato Maestro e a voi, cari amici praticanti.
Copyright © 2025 Minghui.org. Tutti i diritti riservati.
Il mondo ha bisogno di Verità-Compassione-Tolleranza. La vostra donazione può aiutare più persone a conoscere la Falun Dafa. Minghui è grato per il vostro sostegno. Sostieni Minghui