(Minghui.org) Continua dalla Parte 1.

Costretta a stare in piedi per lunghi periodi ed in isolamento

Un metodo adottato nel campo di Masanjia, per costringere i praticanti della Falun Dafa a rinunciare al loro credo, consisteva nel costringerli a partecipare ad un seminario tenuto da un falso maestro di qigong. Liu che si è coperta le orecchie durante le lezioni e si è rifiutata di tornare in classe dopo pranzo, il suo mandato è stato prolungato di dieci giorni per "violazione delle regole del campo di lavoro".

In un'altra occasione, mentre i praticanti erano stati costretti a guardare un video di propaganda contro la Falun Dafa, Liu si è alzata sottolineando che si trattava di un falso e se n'è andata. Il mandato è stato prolungato di altri sessanta giorni ed è stata confinata per tre settimane in una piccolacella di isolamento.

La donna è stata ammanettata al termosifone e costretta a stare in piedi tutto il giorno. Le hanno tolto le manette, ad una sola mano, per il tempo necessario nel consumare i pasti. La notte è stata trasferita in ufficio, costretta nella stessa posizione sotto la sorveglianza della guardia di turno. In seguito è stata nuovamente riportata in isolamento, ancora ammanettata e in posizione eretta.

Ricostruzione della tortura: Ammanettata ad un termosifone per lunghi periodi di tempo

Liu ha ricordato di quando veniva ammanettata e costretta a rimanere in posizione eretta, ed ha sottolineato: «Ero così stanca che mi sono addormentata in piedi». L'essere ammanettata per tanto tempo ha lasciato una profonda lesione al polso sinistro della donna che non è più stata in grado di sollevare oggetti pesanti.

Dopo tre settimane di isolamento, è stata ricondotta nella sua cella. Al fine di mantenerla ancora isolata dagli altri detenuti, le guardie del carcere la riportavano in cella solo dopo le 23:00, quando tutti erano andati a dormire. Alle 4 del mattino, prima che tutti si alzassero, veniva svegliata e riportata nella piccola stanzetta in isolamento. Durante il giorno era costretta a stare lì da sola. Questa è stata la routine giornaliera, fino al suo rilascio, avvenuto il 4 luglio 2002. A causa dell'estrema umidità della stanza, la donna aveva scabbia in tutto il corpo.

Wang Xiaofeng, il capo della Divisione numero uno, una volta le ha detto: «Vuoi sapere perché ti abbiamo ammanettato per tutto questo tempo? Perché parli troppo! Hai una cattiva influenza». Il lungo periodo di isolamento è stato una conseguenza delle sue affermazioni sulla falsa propaganda e per aver incoraggiato gli altri praticanti a non cedere durante il lavaggio del cervello.

Una famiglia distrutta

Mentre Liu era confinata in una piccola cella a Masanjia, il marito ha chiesto il divorzio. Un giorno, si è presentato al campo assieme ai funzionari del tribunale distrettuale di Zhongshan, per chiederle di firmare i documenti relativi.

I documenti sottolineavano come la sua fede nella Falun Dafa, abbia causato conflitti nelle relazioni familiari, e quindi il divorzio è stato concesso. La politica di oppressione del PCC ha causato la separazione forzata di decine di migliaia di praticanti dalle loro famiglie, eppure le autorità li hanno accusati di aver indotto le separazioni proprio per la loro fede.

Licenziata dal posto di lavoro

Il 4 luglio 2002, il giorno in cui era previsto il rilascio della donna dopo un anno e settanta giorni trascorsi nel campo di lavoro, la guardia ha sbloccato la porta della piccola cella dove lei aveva trascorso la maggior parte del tempo.

Appena uscita dal campo di lavoro, Liu si è voltata a guardare i tanti praticanti detenuti che la salutavano dalle finestre. Le sono venute le lacrime agli occhi, ma si è girata velocemente per non volgere più lo sguardo su di loro. Senza questa ingiusta persecuzione, queste brave mogli, madri amorevoli e figlie premurose non sarebbero state separate dai loro cari. Tuttavia, a causa della loro fede nei valori universali di Verità-Compassione-Tolleranza, sono state costrette a subire pene detentive, abusi e torture per mano del PCC.

Giunta a Dalian verso mezzanotte, ha bussato alla porta di casa, dalla quale era rimasta lontana per più di un anno. La mattina successiva è entrata nella stanza del figlio e lo ha svegliato per andare a scuola. Quando il figlio ha aperto gli occhi, ha gridato: «Mamma!», allora Liu gli ha chiesto: «Posso avere un abbraccio?». Tra le sue braccia, il figlio le ha raccontato del giorno in cui era stata arrestata: «Ho aspettato e aspettato che tu venissi a prendermi a scuola e alla fine mi sono stufato. Ero così affamato che mi sono messo a piangere. Poi ho visto papà correre verso di me».

Suo figlio ha dato alla madre un regalo che aveva fatto mentre era detenuta. Aveva aspettato pazientemente quel giorno per poterle fare una sorpresa. Liu commossa, lo ha stretto forte a se.

Dopo un breve periodo di convalescenza in seguito al suo rilascio, la professoressa ha contattato l'università, sperando di tornare presto al lavoro, ma le hanno detto che era stata licenziata l'anno prima dal segretario del Partito universitario Li Yuanpeng. Liu ha presentato più volte una domanda per riavere il posto di lavoro, ma le è stata ripetutamente rifiutata dagli amministratori della scuola.

Senza lavoro, la donna non avrebbe potuto mantenere il figlio ed i suoi anziani genitori. Tra il 2003 e il 2004, ha frequentato l'ufficio delle petizioni della città, incolpando la scuola che l'aveva licenziata a sua insaputa o senza il suo consenso, ed ha chiesto di tornare al lavoro. Ma il suo caso non è mai stato risolto.

Per sapere dove si trovava Liu e cosa stava facendo, i funzionari dell'Ufficio 610 di Dalian hanno chiesto alla polizia locale di sorvegliarla e molestarla ripetutamente, dopo il suo rilascio. Per evitare le continue oppressioni, la donna si è trasferita in un appartamento in affitto ed ha affittato a sua volta la propria unità abitativa. La polizia ha disturbato più volte il suo inquilino, cercando di scoprire dove si trovasse.

In seguito Liu ha sposato un altro praticante, Yi Baojun, ed ha iniziato una nuova vita.

Altri due anni di lavoro forzato

Il 21 settembre 2009, gli agenti della stazione di Qingniwa Bridge hanno arrestato nuovamente Liu, su ordine diretto della Dalian Domestic Security Division. La donna è stata trasferita al centro di detenzione di Yaojia dove è stata trattenuta per trentasette giorni.

Durante questo periodo è stata interrogata più volte. Dopo una sessione di interrogatorio, si è rifiutata di stare in piedi di fronte al muro ed è stata aggredita verbalmente. Ha gridato: «La Falun Dafa è innocente. La Falun Dafa è buona», ed è stata schiaffeggiata da un agente. La polizia ha anche cercato di raccogliere informazioni sul suo ex marito e prove a suo carico.

L'anziano padre della donna versando in cattive condizioni di salute, i familiari hanno tenuto nascosto il suo arresto. La madre, quasi ottantenne, ha provato tre volte a percorrere 50 miglia (circa 80 chilometri) per presentare una richiesta di rilascio della figlia alla stazione di polizia di Qingniwa Bridge, ma senza alcun risultato.

Il 21 ottobre 2009, Liu è stata condannata a due anni di lavori forzati e, alla fine di ottobre, è stata trasferita al campo di Masanjia e collocata nella squadra sei della Divisione numero tre.

Diritti di visita negati

Nell’ottobre 2009, erano presenti più di 200 praticanti della Falun Dafa detenuti a Masanjia quando Liu è ritornata. Si è fermata appena fuori dal cancello opponendo resistenza all'ingresso nella struttura. Allora il capo della divisione numero tre Zhang Jun, l'istruttore politico Zhang Zhuohui e il capo della squadra Wang Danfeng l'hanno picchiata, presa a calci e trascinata all'interno del campo. Nonostante le sue decise proteste, le guardie del campo le hanno fatto indossare con la forza l'uniforme.

Wang Danfeng le ha detto: «Prima indossi l'uniforme, prima potrai chiamare casa e ricevere visite». In realtà, durante i due anni di detenzione, Liu non ha mai ricevuto né visite né telefonate. I suoi contatti col mondo esterno sono stati completamente interrotti. I familiari potevano depositare denaro sul suo conto solo perché le autorità del campo volevano assicurare ai medici i soldi per coprire le spese di decenza, nel caso avesse avuto bisogno di essere portata in infermeria a causa delle torture.

Nel mese di novembre suo marito e sua madre hanno viaggiato fino a Masanjia per farle visita e portarle vestiti invernali e denaro. Il padre è rimasto indietro a causa dell'ipertensione. La guardia addetta alle visite ha rifiutato la loro richiesta di incontrare la donna perché non aveva ancora rinunciato alla Falun Dafa ed ha aggiunto che, anche in caso lo avesse fatto, non le sarebbe stato permesso di vedere alcun membro della famiglia anch'esso praticante.

Il funzionario ha chiesto i documenti della madre e se praticasse anche lei la Falun Dafa. La donna ha risposto: «Io pratico per liberarmi dalle malattie e diventare una brava persona». La guardia ha ribadito: «No, non puoi vederla!». Ma la madre insisteva: «Non me ne andrò, se non me la fai vedere!». Di nuovo la guardia, in tono minaccioso: «Se non hai ricevuto una telefonata dalle autorità del campo, non puoi vederla, anche se sei qui». Amareggiata e delusa, la madre ha gridato forte.

I familiari hanno consultato due avvocati ed entrambi hanno dichiarato che il campo di lavoro ha violato la legge per aver negato il diritto di visita ad un detenuto e hanno consigliato loro di ricorrere in appello. Dopo aver visionato le ragioni della condanna ai lavori forzati, gli avvocati hanno aggiunto che i documenti non hanno alcun effetto legale senza un timbro ufficiale, il che potrebbe impedire loro di rappresentarla o di ottenere giustizia per lei.

La famiglia ha cercato più volte di parlare col capo della polizia di Qingniwa Bridge per ottenere un timbro ufficiale, ma il direttore non era mai presente o era in riunione, quindi la famiglia non lo ha mai incontrato. Alla fine, la guardia di turno all'ingresso del campo non ha più permesso loro l’entrata nel complesso.

Durante la finestra di sessanta giorni per il ricorso in appello, il campo di lavoro non ha permesso a Liu di incontrare i suoi familiari e la polizia non ha emesso un verdetto definitivo con il timbro ufficiale. Pertanto, gli avvocati non sono stati in grado di presentare un'istanza. Questo comportamento illegale da parte dei funzionari del PCC ha privato alla donna del diritto di opporsi alla condanna.

(Da continuare.)

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