(Minghui.org) Una donna, residente a Diaobingshan, nella provincia del Liaoning, ha trascorso tre anni nell'ormai dismesso campo di lavoro di Masanjia, per aver parlato alla gente della Falun Dafa, nota anche come Falun Gong, una disciplina spirituale e di meditazione che viene perseguitata in Cina dal luglio 1999.
Tra il 2002 e il 2005 Chen Hong ha subito torture disumane nel campo di lavoro, tra le quali: settimane di privazione del sonno, essere appesa per i polsi, congelamento, essere legata in una posizione innaturale, alimentazione forzata e percosse. Le autorità del campo hanno prolungato arbitrariamente il suo periodo di detenzione di altri tre mesi. Di seguito riportiamo il racconto di ciò che Chen è stata costretta a subire.
Mi chiamo Chen Hong e sono nata il 4 dicembre 1966. Vivevo nell’edificio 425, nel 4° distretto della città di Diaobingshan, nella provincia del Liaoning. Insegnavo musica nella terza scuola elementare. Per tre anni e tre mesi ho sofferto tormenti fisici e mentali nel campo di lavoro di Masanjia, perché mi sono rifiutata di rinunciare alla pratica della Falun Dafa.
Il 19 agosto 2002 ho portato mio figlio di sei anni in un parco e ho parlato della Falun Dafa e della brutale persecuzione con alcuni frequentatori abituali. Ben presto, tre agenti della stazione di polizia di Nanling hanno arrestato me e mio figlio. Hanno riportato a casa il bambino, messo a soqquadro l’abitazione e confiscato i miei libri della Falun Dafa, le cassette delle lezioni e le foto del Maestro Li, fondatore della pratica. Appena arrivato a casa mio figlio di sei anni, terrorizzato, è corso tra le braccia del padre e ha iniziato a piangere.
Gli agenti dell'Ufficio 610 locale mi hanno interrogata alla stazione di polizia di Nanling, e mi hanno tenuta ammanettata a una sedia di ferro per tutta la notte. Il giorno dopo mi hanno condotta nel Centro di detenzione Diaobingshan, dove sono stata trattenuta per quindici giorni, prima di essere trasferita nel campo di lavoro forzato di Masanjia. Il campo di lavoro è stato costruito appositamente per la persecuzione dei praticanti della Falun Dafa. All'epoca c'erano quasi 1.300 praticanti incarcerati.
Sedia di ferro, uno strumento usato per torturare i praticanti della Falun Dafa nel campo di lavoro
Isolate dalle altre detenute
Sulle praticanti appena ammesse al campo o su quelle che rifiutavano di rinunciare alla loro fede veniva usata la tattica dell'isolamento. Per evitare che le nuove arrivate avessero contatti con altre praticanti, il capo guardia assegnava diverse collaboratrici per sorvegliarle da vicino. C'era un posto speciale per tenere le praticanti isolate dalle altre, che si trovava al primo piano di un edificio, dove non lavorava né viveva nessuno. La praticante doveva sedersi su un piccolo sgabello e non poteva muoversi. Una collaboratrice la accompagnava in bagno. Se la praticante ne incontrava un’altra nelle sue condizioni, non le era permesso di guardarla negli occhi o di parlarle.
Quando sono stata portata al campo di lavoro mi hanno accompagnato tre collaboratrici. Hanno cercato di calunniare la Falun Dafa e il Maestro, nel tentativo di farmi abbandonare la mia fede. Dovevo restare in cella d’isolamento dalle 4:00 del mattino alle 23:00. Tutto ciò è durato un mese, fino a quando le autorità del campo di lavoro hanno avuto bisogno di manodopera per la raccolta del mais, tuttavia le collaboratrici non mi permettevano di parlare con le altre praticanti all’interno della cella.
Molte di noi si sono rifiutate di lavorare per il campo di lavoro. Le guardie ne hanno rinchiuse alcune nel magazzino, altre sono state costrette ad accovacciarsi fino a mezzanotte e veniva dato loro poco cibo. Se il giorno dopo si rifiutavano ancora di andare a lavorare, dovevano continuare a stare nella posizione accovacciata.
Aggressione intensificata
Alla fine del 2002 le autorità del campo di lavoro hanno intensificato le torture sulle praticanti che si rifiutavano di rinunciare alla loro fede. Tutti gli altri campi provinciali per il lavoro forzato hanno inviato le loro guardie più feroci per aiutare quelle di Masanjia a torturare e trasformare le praticanti più risolute.
Sono stata torturata e costretta a rimanere sveglia per più di tre settimane. All'inizio le guardie mi hanno messa in isolamento e costretta a stare ininterrottamente in posizione accovacciata. Due collaboratrici si alternavano sorvegliandomi a turno. Potevo usare il bagno solo una volta al giorno e non mi era permesso di lavarmi. La tortura è durata quattro giorni; continuavo a cadere perché ero esausta e avevo bisogno di dormire.
In seguito mi hanno fatta stare in posizione eretta per altri cinque giorni. Quando mi assopivo le collaboratrici mi spruzzavano acqua sul viso o mi trascinavano a terra.
Per tenermi sveglia, hanno attaccato le mie manette a un tubo del riscaldamento, in modo che le dita dei piedi toccassero appena il suolo. La tortura è durata una settimana, durante la quale hanno cercato di ammanettarmi in varie posizioni, allo scopo di intensificare il dolore. I miei polsi sanguinavano e la carne era diventata viola.
Dopo avermi posizionata sul pavimento, le guardie mi hanno incrociato le gambe e le hanno legate con una corda. Allo stesso tempo mi hanno ammanettato le mani dietro la schiena e mi hanno fatta sedere in questa posizione per due giorni.
Illustrazione della tortura: Legata da una corda con i polsi ammanettati dietro la schiena
Un altro inasprimento dei metodi di tortura ha avuto luogo un anno dopo, nel dicembre 2003, quando altri campi di lavoro forzato hanno nuovamente inviato aiuti per torturare i praticanti detenuti a Masanjia. Sono stata costretta ad accovacciarmi e a rimanere sveglia per cinque giorni. Vedendo che questa tattica non funzionava, hanno coinvolto mio marito e mio figlio, ordinando loro di dissuadermi dal praticare la Falun Dafa. Anche questo tentativo è fallito.
La guardia Cui Hong mi ha tenuta fuori al freddo con indosso solo dei vestiti sottili. A dicembre il clima era di circa dieci gradi centigradi. Faceva così freddo che le guardie che mi sorvegliavano, nonostante indossassero abiti caldi, dovevano cambiare turno ogni ora. Questa tortura è durata quattro giorni, dalle 6:00 del mattino fino alle 18:00. Quando la sera mi riportavano in cella, dovevo stare in piedi o accovacciata e non potevo dormire. Mi davano da mangiare solo panini al vapore e sottaceti.
Vedendo che mi rifiutavo ancora di rinunciare alla Falun Dafa, cinque guardie mi hanno incrociato le gambe gonfie e me le hanno legate con una corda. Per peggiorare le cose, mi hanno legato il collo alle gambe, in modo che non potessi raddrizzare la parte superiore del corpo. Quando ho urlato per il dolore, mi hanno infilato in bocca uno straccio.
Altre torture
Durante il Capodanno, nel mese di gennaio 2003, le guardie mi hanno legato le gambe per sei giorni di fila e non mi hanno permesso di dormire e di lavarmi. Potevo usare il bagno soltanto una volta al giorno. Dopo avermi slegata, le ginocchia mi facevano così male che hanno dovuto sorreggermi fuori.
Nel maggio dello stesso anno, le guardie mi hanno legato i polsi con una corda e hanno avvolto la corda a un tubo del riscaldamento e al telaio di una porta. Le mie dita dei piedi riuscivano a malapena a toccare il pavimento e questo ha messo a dura prova le mie spalle e i miei polsi. La tortura è durata più di venti giorni, durante i quali non mi è stato permesso di dormire, lavarmi o usare il bagno per più di una volta al giorno. In seguito i miei piedi si sono gonfiati e le mie braccia avevano perso la sensibilità. I miei polsi erano viola e sanguinavano, e ancora oggi posso scorgere le cicatrici.
Illustrazione della tortura: Appesa per i polsi
Nell'ottobre dello stesso anno le guardie mi hanno isolata e mi hanno fatta stare in una stanza per oltre dieci giorni senza dormire.
Diffusione di voci
Nell'aprile 2004 la guardia Cui ha messo in giro la voce che avevo una malattia mentale e mi ha messa in isolamento. Ha chiamato i miei familiari e ha chiesto loro di inviare denaro per il mio trattamento. La telefonata li ha rattristati ulteriormente, ma non hanno potuto farmi visita.
Le guardie mi hanno portata all'ospedale psichiatrico di Shenyang, cercando di farmi diagnosticare una sorta di disturbo mentale, allo scopo di costringermi ad assumere farmaci sconosciuti. Ho detto al medico che, essendo un'insegnante di musica, a volte cantavo da sola nel campo di lavoro per superare le mie emozioni, perché venivo torturata e mi mancava la mia famiglia. Gli ho spiegato che nella mia famiglia non c'erano casi di malattie mentali e ho fatto un test psicologico. Il medico ha scritto nella sua diagnosi che ero mentalmente sana.
La guardia Cui mi ha poi detto che, se avessi dichiarato di essere malata di mente, avrei avuto diritto alla cauzione medica, ma io ho rifiutato. Se avessi accettato la sua offerta, avrebbe avuto una scusa per iniettarmi farmaci sconosciuti e trasformarmi in una vera malata psichiatrica. Non sarei mai stata in grado di tornare al lavoro, una volta rilasciata.
Gestione rigorosa
Nel marzo 2005 molti praticanti, me compresa, hanno smesso di seguire gli ordini delle guardie, in segno di protesta contro l'incarcerazione illegale. Abbiamo chiesto di essere rilasciate senza accuse e ci siamo rifiutate di lavorare, di indossare l'uniforme della prigione e di mangiare. Il campo di lavoro ha assegnato le praticanti a squadre di gestione rigorosa e delegato delle guardie aggiuntive a ciascuna squadra. Io sono stata assegnata alla Squadra Quattro e il capo squadra era ancora la guardia Cui.
Le praticanti in gestione rigorosa dovevano stare sedute nelle loro celle, su un piccolo sgabello, dalle 5:00 del mattino fino all'ora di andare a dormire. Non ci potevamo alzare, parlare tra di noi e guardare fuori. Erano state installate due telecamere nella parte anteriore e posteriore della cella per monitorarci costantemente. Dovevamo fare i turni per parlare e guardare fuori, e anche per andare in bagno, in modo da non scontrarci l'una con l'altra.
Rievocazione della tortura: Sedute immobili su un piccolo sgabello per lunghe ore
Una piccola cella
Le autorità del campo e le guardie hanno di tentato di costringere le praticanti a indossare l'uniforme della prigione. Quando mi sono rifiutata di indossarla, mi hanno condotta in una cella minuscola, situata all'ultimo piano di un edificio. Il pavimento era insonorizzato e nessuno all'esterno poteva udire ciò che accadeva lì. Un locale grande come un'aula scolastica era suddiviso in più di dieci minuscole celle, ognuna con una telecamera di sorveglianza e un altoparlante ad alto volume.
La cella aveva una lunga panca e nient'altro. In inverno non c'erano né riscaldamento né coperte, e le guardie tenevano addirittura le finestre aperte di proposito, per farci soffrire di più. Una delle praticanti ha subito gravi danni da congelamento. Non potevamo lavarci e potevamo andare in bagno solo una volta al giorno. I pasti erano sempre panini al vapore e sottaceti. Molte praticanti sono rimaste in cella per mesi, nonostante la regola dicesse che la durata massima della detenzione era di dieci giorni.
Le guardie nutrivano a forza, una volta al giorno, le praticanti che facevano lo sciopero della fame. Quando hanno alimentato a forza una praticante accanto a me, l'altoparlante ha iniziato a emettere un forte rumore per soffocare le sue urla. Diverse guardie l'hanno tenuta ferma e le hanno inserito un tubo di plastica nel naso, fino allo stomaco. Poi hanno usato una siringa per spingere il porridge di mais dentro al tubo.
Illustrazione della tortura: Alimentazione forzata
Il congelamento
Quando sono stata messa nella minuscola cella d’isolamento, le praticanti che sono rimaste in cella hanno continuato a stare sedute tutto il giorno su piccoli sgabelli. Una volta, dopo essere tornate dalla pausa bagno, ci siamo rifiutate di sederci ancora. La guardia Cui ha rimosso tutti gli sgabelli e ci ha fatte sedere su cuscini sottili. In seguito ha tolto i cuscini e ci ha fatte sedere sul pavimento di piastrelle, che in quel momento era gelido. Questa tortura è durata sei mesi.
Alimentazione forzata
Ho iniziato uno sciopero della fame per protestare contro la persecuzione e, cinque giorni dopo, le guardie hanno iniziato ad alimentarmi a forza. Mi hanno trascinata in una stanza vuota, dove mi hanno picchiata e presa a calci. Poiché non riuscivo a smettere di vomitare quando mi alimentavano a forza, Cui mi ha infilato uno straccio in bocca per spingere il cibo dentro. In seguito mi ha ripulita con lo straccio.
Estensione arbitraria dei termini
Le autorità potevano prorogare a piacimento il termine della pena detentiva delle praticanti, da dieci giorni a un anno. Era una pratica comune. Una guardia ha sorpreso Wang Shuchun con un articolo sulla Falun Dafa e le ha detto che il suo mandato sarebbe stato esteso da uno a tre mesi. Anche il mio mandato è stato esteso per tre mesi.
Quando hanno cercato di estendere ulteriormente il mio periodo, mia madre, che è anche una praticante, ha deciso di scrivere lettere di reclamo a molti dipartimenti governativi e ha denunciato i crimini perpetrati nel campo di lavoro. Un funzionario della Procura di Shenyang ha esaminato il mio caso e ha impedito alle autorità del campo di lavoro di prolungare la mia pena. Il 19 novembre 2005, dopo tre anni e tre mesi di detenzione, sono stata rilasciata. L'anno dopo sono tornata a insegnare.
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Categoria: Sevizie sulle donne