(Minghui.org) Lo scorso 3 dicembre la famiglia di Jin Hong non ha potuto riportarla subito a casa, quando ha terminato di scontare una condanna a quattro anni di prigione per la sua fede nel Falun Gong, una pratica per il benessere fisico e spirituale che viene perseguitata dal Partito Comunista Cinese dal luglio 1999. La donna è stata invece consegnata agli agenti, che l’hanno accompagnata alla stazione di polizia per sbrigare alcune pratiche burocratiche, prima di essere rilasciata.
Un breve riassunto del caso di Jin
Jin, di 56 anni, vive nel distretto di Tiexi della città di Shenyang, nella provincia del Liaoning. Il 4 dicembre 2019 è stata arrestata per aver distribuito calendari con informazioni sul Falun Gong. Nel settembre 2020 il tribunale distrettuale di Tiexi l’ha condannata a quattro anni di pena detentiva e il 18 marzo 2021 è stata trasferita nella seconda prigione femminile della provincia del Liaoning.
Jin ha subito atroci torture in prigione per non aver rinunciato alla sua fede. La donna è stata gravemente ferita a una gamba. Le richieste dei suoi familiari di ritenere i perpetratori responsabili, di avere una copia del rapporto di valutazione delle ferite e di farle visita in prigione sono state ripetutamente respinte. Dopo essere stata ammessa in carcere, le sono state concesse solo quattro visite in presenza e due telefonate con la famiglia.
Durante tutto il periodo di detenzione, Jin non ha mai vacillato nella sua fede, nonostante sia stata incessantemente torturata. Lo scorso 3 dicembre, al termine del suo mandato, il Comitato per gli Affari Politici e Legali (PLAC) del distretto di Tiexi, un’agenzia extragiudiziale incaricata di supervisionare la persecuzione del Falun Gong, ha ordinato al carcere di consegnarla alla stazione di polizia di Xinggong, responsabile del suo arresto nel 2019. La polizia ha lavorato fianco a fianco con la prigione per ottenere il trasferimento, nonostante le forti proteste dei familiari.
Dopo essere stata portata alla stazione di polizia, Jin si è rifiutata di scrivere una dichiarazione di rinuncia al Falun Gong. Ha detto che continuerà a cercare giustizia, perché non avrebbe mai dovuto essere incarcerata per la sua fede. Si è anche riservata il diritto di sporgere denuncia contro la polizia e il PLAC per averla fermata il giorno del suo rilascio.
Battaglia tra la famiglia Jin e la polizia
Prima delle 9:00 del mattino del 3 dicembre i familiari e gli amici di Jin sono arrivati al carcere, desiderosi di riportarla a casa, dopo quattro lunghi anni di separazione.
Quando l’orologio ha segnato le 9:00, una volante della polizia si è fermata improvvisamente e ha parcheggiato di traverso davanti al cancello principale della prigione. Dall’auto sono saltati fuori tre uomini e una donna, che sono entrati nella struttura da una porta laterale.
La famiglia di Jin ha visto le quattro persone parlare con le guardie, ma non è riuscita a capire cosa dicessero. Più tardi i quattro sono usciti, fermandosi accanto alla loro autovettura.
I familiari della donna si sono allarmati e hanno chiesto alle quattro persone chi fossero. Si è scoperto che due di loro, Liu Xin e Wang Yonggang, erano della stazione di polizia di Xinggong; il terzo uomo era Gao Linze, segretario della comunità di Huabei, dove risiede Jin; e la donna, Wang Li, apparteneva all’ufficio appelli del Comitato di via Xinghua.
L’agente Wang Yonggang, responsabile di pubblica sicurezza nel quartiere dove abita Jin, ha lasciato che fosse Liu a parlare. L’ufficiale ha detto che erano andati a prendere Jin. Il marito non poteva crederci. Infuriato, ha chiesto: “Qual è la vostra giustificazione per prelevare mia moglie? Ho presentato molte denunce contro la polizia e la prigione per averla arrestata e torturata. Come avete potuto presentarvi qui senza nemmeno avvisarci?”.
Liu ha insistito che Jin doveva andare con loro. Il marito gli ha mostrato le ricevute della posta di vari enti governativi, che confermavano la ricezione delle denunce presentate contro i responsabili. Liu lo ha respinto e ha detto: “Non c’è bisogno di mostrarmi queste cose. Non serve a nulla. Fatemi causa dove volete!”.
Wang ha aggiunto: “Dobbiamo portarla via oggi”.
Il marito di Jin ha chiesto ai due agenti perché non indossassero le loro uniformi, mentre facevano rispettare la legge. Liu ha risposto che prendere in consegna Jin non significava far rispettare la legge.
Il marito ha chiesto di poter vedere i loro documenti. Liu ha ammesso di essere un agente ausiliario della stazione di polizia di Xinggong. Wang ha mostrato il suo tesserino di polizia.
Il marito di Jin ha chiesto di sapere su quale base legale la polizia la stesse prelevando, dopo che aveva già scontato la sua pena. Liu ha tirato fuori il suo telefono per mostrare una pagina internet sull’articolo 300 della legge penale, il quale stabilisce che chiunque utilizzi un’organizzazione di culto per minare l’applicazione della legge dev’essere perseguito nella misura massima consentita dalla legge. Ha detto che questo era sufficiente per portare via la donna.
Il marito ha sostenuto che nessuna legge criminalizza il Falun Gong o lo definisce una setta. Inoltre, come avrebbe potuto Jin minare l’applicazione della legge quando era ancora in prigione? Ha esortato Liu, Wang e gli altri due a non perseguitare di nuovo la moglie, dopo che era a malapena sopravvissuta a quattro anni di torture e aveva riportato gravi ferite.
Li implorava di lasciare che sua moglie tornasse a casa con lui. Liu era ancora irremovibile: Jin sarebbe dovuta andare con loro alla stazione di polizia.
Alla fine il marito è stato costretto a cedere, perché non voleva un esito ancora peggiore.
Il piano accurato della prigione per garantire il trasferimento di Jin alla polizia
Secondo le regole del carcere, i detenuti i cui mandati scadono in un determinato giorno, devono essere rilasciati tutti insieme alle 9:30 del mattino. Il 3 dicembre, tuttavia, il carcere ha liberato tutti gli altri detenuti idonei alle 8:30 del mattino, mentre Jin è stata trattenuta all’interno, in modo che gli altri detenuti non si accorgessero del suo trasferimento.
Quando i suoi familiari hanno discusso con la polizia all’esterno, il carcere ha inviato alcune guardie in borghese per confondersi tra la folla, fingendo di essere suoi amici, per urlare: “Collaboriamo con la polizia!”. Altre guardie in borghese sono state viste uscire dalla prigione e posizionarsi a due metri di distanza dalla folla.
Quando il cancello principale è stato finalmente aperto per Jin, più di 20 guardie e quattro agenti armati si sono precipitati fuori, seguiti dalla donna, affiancata da alcune altre guardie. Solo il marito e il figlio hanno potuto salutarla brevemente, mentre il resto della famiglia e degli amici sono stati tenuti lontani.
Nonostante le ripetute richieste del marito di avere una copia del rapporto di valutazione delle lesioni subite negli ultimi anni, solo dopo che Jin aveva lasciato la struttura carceraria le guardie glielo hanno mostrato velocemente, senza dargliene una copia.
Il figlio di Jin è stato autorizzato ad accompagnarla alla volante della polizia. La sua famiglia ha sentito un capo guardia chiamare: “Andiamo tutti dentro!”. Tutte le guardie, in uniforme e in borghese, si sono ritirate all’interno della prigione.
Alla stazione di polizia Jin ribadisce la sua innocenza
Durante il viaggio Jin aveva caldo, sete e ha sofferto di mal d’auto. Quando ha chiesto di scendere dal veicolo per rinfrescarsi e bere un po’ d’acqua, l’agente Wang ha bloccato la porta del passeggero a destra e del segretario Gao a sinistra. La donna ha chiesto quale fosse il reato commesso che le impediva di scendere dal veicolo. Wang ha mentito dicendo che le porte dei passeggeri erano rotte, ma ha ceduto quando lei ha insistito. Non appena è scesa, Wang e gli altri sono saltati fuori e l’hanno tenuta d’occhio per evitare che potesse scappare.
Quando si è mostrata riluttante a rientrare nell’autovettura, Wang l’ha minacciata: “Non importa quanto tempo per la pausa si prenda, oggi deve andare alla stazione di polizia”.
Jin è stata costretta ad adeguarsi. Appena arrivati, Wang non si è presentato. Liu si è lamentato del fatto che Wang stesse scaricando su di lui, un agente ausiliario, il compito di “lavorare sulla donna”.
Più tardi Liu ha ordinato a Jin di scrivere una dichiarazione di rinuncia alla sua fede, affermando che tutti i praticanti del Falun Gong appena rilasciati devono adempiere alle stesse formalità prima di poter tornare a casa. Jin ha scritto: “Non ho infranto alcuna legge, ma sono stata condannata a quattro anni dal tribunale distrettuale di Tiexi. Sono stata brutalmente torturata e umiliata nella seconda prigione della provincia del Liaoning. Farò tutto il necessario affinché i perpetratori vengano ritenuti responsabili dei loro crimini”. Suo figlio ha avvertito Liu di non molestare più né lei, né la loro famiglia.
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